Una riflessione personale su come gli incendi distruggono progetti agricoli innovativi e il futuro di una terra che ha bisogno di rinascere
Il mio agosto in fiamme
Era il giorno del mio compleanno, agosto 2025. Invece di festeggiare, mi sono trovato con un’autobotte a spegnere un incendio che minacciava il mio progetto di vita: una casetta in legno-paglia-argilla e un terreno che sogno di trasformare in un esperimento di permacultura.
I vigili del fuoco? “Arriviamo”, mi hanno detto al telefono. Non sono mai arrivati. Non hanno nemmeno richiamato.
Giuseppe Condito ed io abbiamo spento tutto da soli, con le nostre mani e la determinazione di chi non vuole arrendersi. Ma la domanda che mi tormenta è sempre la stessa: perché ogni anno, tra fine agosto e inizio settembre, devo vivere questo incubo?
Non sono solo: le storie di devastazione dei miei amici
Quest’estate ho conosciuto persone straordinarie a Badolato e Isca Marina. Mi hanno accolto, mi hanno dato consigli preziosi su come contrastare il fenomeno degli incendi, mi hanno fatto sentire parte di una comunità che resiste.
Due giorni fa, i miei amici di Isca Marina hanno visto bruciare oltre il 50% del loro terreno. Un fuoco partito da un terreno adiacente molto più piccolo ha distrutto le loro coltivazioni, i loro ulivi e persino le loro biciclette. La foto di quelle biciclette bruciate che mi hanno mandato mi ha spezzato il cuore. Non sono solo oggetti: sono il simbolo di una vita semplice, sostenibile, che qualcuno ha deciso di distruggere.

Giuseppe stesso conosce bene questa devastazione: diversi anni fa la sua famiglia ha perso quasi 500 ulivi in un unico incendio che ha minacciato di raggiungere addirittura il paese. Cinquecento ulivi. Generazioni di lavoro, storia familiare, economia locale: tutto cancellato in poche ore da fiamme che non rispettano niente e nessuno.
Durante le mie conversazioni estive ho raccolto altre storie terribili: c’è chi ha perso 120 ulivi secolari, chi ne ha persi 70, chi 80 tra secolari e più giovani. Impianti di irrigazione, tettoie, interi capannoni agricoli ridotti in cenere. Anni di lavoro, investimenti, sogni: tutto bruciato in poche ore.
Questi non sono numeri. Sono le vite di persone che hanno creduto in questa terra e che ogni anno vedono i loro progetti minacciati dalle fiamme.
Il paradosso calabrese
La Calabria soffre di spopolamento, economia stagnante, giovani che fuggono. Eppure, quando qualcuno decide di restare e investire in progetti agricoli – sia innovativi che tradizionali – si trova di fronte a questa violenza sistematica.
Questi progetti rappresentano la vera opzione per il futuro di questi territori. Non parlo solo di sperimentazioni in permacultura o tecniche sostenibili, ma anche di chi recupera e conserva le tradizioni locali: gli oliveti secolari, le coltivazioni autoctone, i saperi antichi tramandati di generazione in generazione.
Molti di questi progetti si integrano naturalmente con forme di accoglienza diffusa che portano vera ricchezza nel territorio. Non i fantasmagorici resort o le situazioni di lusso che vivono a sé stanti e fini a se stessi, ma esperienze autentiche che fanno scoprire ai visitatori la bellezza di una Calabria genuina, fatta di persone, tradizioni e prodotti del territorio.
Gli incendi non sono casuali. Dietro c’è una mentalità che va dalla “mania della pulizia” al puro piacere di vedere bruciare, dagli interessi economici per eliminare aree boschive ai pastori che bruciano per avere erba nuova.
Il risultato? Chi vuole costruire un futuro diverso viene punito. Chi vuole innovare o conservare viene fermato. Chi crede nella Calabria viene tradito.
L’assenza delle istituzioni
Non posso tacere sulla totale inadeguatezza delle istituzioni. I vigili del fuoco che non arrivano quando li chiami per incendi nei campi. Le forze dell’ordine che non sanno come rispondere al fenomeno, anche perché culturalmente viene visto come “normale”.
Dove sono i programmi di prevenzione? Dove sono le campagne di sensibilizzazione? Dove sono i controlli sui terreni abbandonati che diventano micce?
Mentre noi cittadini spegniamo incendi con le nostre mani, le istituzioni brillano per assenza.
La terra che frana
Ma il fuoco è solo l’inizio. Dopo gli incendi, la vegetazione che teneva ferma la terra argillosa e sabbiosa non c’è più. Il terreno inizia a franare, creando danni ancora maggiori e mettendo a rischio tutto quello che è sopravvissuto alle fiamme.
È un circolo vizioso che distrugge l’ecosistema e rende sempre più difficile qualsiasi progetto agricolo serio.

Non ci arrendiamo
Nonostante tutto, non possiamo arrenderci. Ogni progetto agricolo che resiste – innovativo o tradizionale – è un atto di resistenza. Ogni ulivo che salviamo è una vittoria. Ogni persona che decide di restare e costruire qualcosa di bello è un eroe silenzioso.
I miei amici di Isca Marina, nonostante la devastazione, non si sono arresi. Giuseppe Condito, nonostante la sua famiglia abbia perso quasi 500 ulivi, continua a credere in questa terra. E io continuo a sognare la mia casetta in legno-paglia-argilla circondata da un orto in permacultura.
Ma abbiamo bisogno di aiuto. Abbiamo bisogno che le istituzioni facciano il loro dovere. Abbiamo bisogno che la cultura cambi. Abbiamo bisogno che chi legge queste righe capisca che dietro ogni incendio c’è una famiglia che vede bruciare i propri sogni.
Abbona la newsletter gratuita.
Cosa puoi fare tu
Se questa storia ti ha toccato, non restare indifferente:
- Condividi questo articolo per aumentare la consapevolezza
- Se conosci progetti agricoli in Calabria, sostienili
- Pretendi dalle istituzioni controlli e prevenzione seria
- Se vedi comportamenti sospetti, segnalali
La Calabria può rinascere, ma solo se tutti noi la proteggiamo dal fuoco dell’indifferenza e della criminalità.
Le foto che accompagnano questo articolo mostrano la realtà cruda di quello che viviamo ogni estate: le biciclette bruciate dei miei amici di Isca Marina, i terreni devastati, ma anche la determinazione di chi non si arrende mai, come Giuseppe Condito e me mentre spegniamo l’incendio del mio compleanno.
Rispondi