Una riflessione personale sull'educazione libera ispirata da John Holt
Quando mio figlio di cinque anni ha mostrato resistenza verso la scuola tradizionale, la mia prima reazione è stata pensare: “È solo un capriccio.” Avevamo provato l’asilo nel bosco, poi strutture più moderne, ma la sua opposizione persisteva. Come genitore, è naturale interpretare questa resistenza come testardaggine – è quello che la società ci insegna.
Ma c’è una differenza profonda tra un capriccio e un rifiuto istintivo.
Il percorso verso l’unschooling: semi piantati nel tempo
La parola “unschooling” non mi era nuova. L’avevo incontrata per la prima volta anni prima in una conversazione spontanea, quasi fine a se stessa, ma il concetto mi era rimasto impresso. Più tardi, facendo ricerche per un documentario, mi sono imbattuto nel concetto di unschooling e apprendimento diffuso – la “comunità educante” – discusso in ambito universitario.
Forse il seme era già stato piantato perché, guardando indietro, mi riconoscevo in quel approccio. Io stesso ho dipeso molto dalla scuola per motivi familiari, ma alla fine sono sempre stato autodidatta. La scuola mi ha trasmesso alcune nozioni di base – soprattutto in inglese e storia – ma erano temi che mi interessavano talmente tanto che probabilmente avrei studiato comunque, premesso che ne avessi ricevuto i giusti stimoli e il materiale necessario nel momento dell’interesse.
Quando ho iniziato a vivere le difficoltà con nostro figlio, mi sono ricordato di quel termine. Ma dal ricordarsi la parola “unschooling” fino alla messa in pratica del concetto, ne è passato comunque parecchio – sia di tempo che di coraggio. C’è stato anche il tentativo fallito di costruire una scuola itinerante in natura, un asilo alternativo – ma quella è una storia a sé.
Riconoscere i segnali autentici
I capricci sono temporanei, spesso legati a bisogni immediati o frustrazioni momentanee. Quello che stavo osservando in mio figlio era diverso: una resistenza costante, profonda, che persisteva nonostante i nostri tentativi di trovare ambienti educativi alternativi.
Non era ribellione fine a se stessa – era come se il suo essere naturale si opponesse a quella forma di apprendimento forzato. Era un segnale, non un problema da correggere.
Cosa significa davvero unschooling
L’unschooling non è “non fare nulla”. È riconoscere che i bambini sono naturalmente curiosi e capaci di apprendere quando l’ambiente lo permette. John Holt sosteneva che i bambini hanno un istinto naturale per l’apprendimento, ma quando questo viene incanalato in modi che non rispettano la loro natura, si ribellano. Non è testardaggine – è autopreservazione.
Nella nostra esperienza quotidiana, questo si traduce in:
- Conversazioni spontanee che diventano lezioni di storia o scienza
- Cucinare insieme che insegna matematica e chimica
- Giocare che sviluppa problem-solving e creatività
- Leggere storie che aprono mondi di conoscenza
Il momento della svolta
Quando ho smesso di vedere la resistenza di mio figlio come un problema da “correggere” e ho iniziato a vederla come un segnale da ascoltare, tutto è cambiato. Era come se mi stesse dicendo: “Questo non è il mio modo di imparare.”
Ora, con entrambi i nostri figli che seguono l’unschooling, vedo chiaramente la differenza. Non si trattava di capricci, ma di un bisogno autentico di apprendere in modo diverso.
La realtà pratica dell’unschooling
Non mentirò: all’inizio è spaventoso. Siamo cresciuti credendo che l’apprendimento avvenga solo in aule strutturate, con orari fissi e materie separate. Liberarsi da questa mentalità richiede tempo e fiducia.
I nostri bambini non seguono un orario scolastico tradizionale. Apprendono attraverso la vita quotidiana, le loro domande, i loro interessi. La nostra organizzazione familiare non è standard – io lavoro al mattino, mia moglie Eleonora la sera in Be Art Studio – ma questo ci permette di essere sempre presenti per facilitare il loro apprendimento naturale.
Come distinguere capricci da segnali autentici
Questa è forse la domanda più importante per i genitori. Nella mia esperienza:
I capricci sono:
- Temporanei e situazionali
- Spesso legati a stanchezza, fame, frustrazione momentanea
- Si risolvono con pazienza e comprensione
- Non persistono quando le condizioni cambiano
I segnali autentici sono:
- Costanti nel tempo
- Persistono nonostante cambi di ambiente o approccio
- Accompagnati da stress fisico o emotivo genuino
- Coerenti con la personalità e i bisogni del bambino
Le sfide reali
L’unschooling richiede una presenza attiva dei genitori. Non significa lasciare i bambini a se stessi, ma essere facilitatori del loro apprendimento naturale. Significa anche affrontare:
- I dubbi della società e delle famiglie
- La mancanza di “prove” tangibili del progresso
- La necessità di fidarsi del processo naturale di apprendimento
- Imparare a distinguere tra resistenza autentica e momenti difficili normali
Perché funziona
John Holt osservava che i bambini imparano a camminare e parlare senza lezioni formali. Perché dovrebbe essere diverso per altre competenze? Nella nostra esperienza, i bambini che apprendono liberamente:
- Mantengono viva la curiosità naturale
- Sviluppano autodisciplina autentica
- Imparano a seguire le proprie passioni
- Crescono con fiducia nelle proprie capacità
Un invito alla riflessione
L’unschooling non è per tutti, e va bene così. Ma se vostro figlio mostra resistenza persistente al sistema tradizionale, se vedete la sua naturale curiosità spegnersi tra i banchi di scuola, forse vale la pena fermarsi e ascoltare davvero quello che vi sta comunicando.
Non si tratta di essere contro la scuola, ma di essere per il bambino. Di riconoscere che ogni essere umano ha il proprio modo e il proprio tempo per fiorire.
Come diceva Holt: “I bambini non hanno bisogno di essere motivati ad apprendere. Hanno bisogno solo di non essere demotivati.”
A volte, quello che interpretiamo come un capriccio è in realtà la voce più autentica di nostro figlio che ci chiede di essere ascoltata.
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